La roccia incisa del Coren de le Fate

La scoperta e gli studi

La scelta dell'area per il primo intervento di ricerca archeologica di superficie nel Comune di Sonico e per lo studio delle incisioni rupestri presenti nello stesso è stata dettata dalla conoscenza di una piccola roccia incisa rinvenuta nei primi anni '50 e pubblicata dalla prof.ssa Savina Fumagalli (allieva del famoso studioso di incisioni rupestri e antropologo prof. G. Marro) nel 1956, negli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, dopo averne dato notizia ripetutamente con la preziosa collaborazione di don Vittorio Bonomelli, allora parroco di Sonico. 

Tale roccia, come testimonierebbe la tradizione orale locale, sarebbe sempre stata conosciuta dalla gente del luogo, non con il toponimo attuale, ma quello di "Coren de le Strie", e considerata legata ad un certo paganesimo, a storie di streghe e di fate. La presenza di questa roccia incisa ha indotto a ipotizzare la possibilità di rinvenirne altre nel territorio circostante e quindi di credere nell'esistenza di una vasta concentrazione di rocce incise. La prima delle campagne di ricerca si è quindi svolta nell'area ospitante tale roccia e, oltre all'esplorazione sistematica del territorio, alla raccolta di informazioni utili alla conoscenza del sito e di tutto il territorio comunale attraverso la tradizione orale, alla formulazione di una complessa e completa metodologia di ricerca, analisi e studio, si è proceduto in équipe all'analisi e allo studio preliminare della roccia, dalla quale è nato lo stimolo alla ricerca. 

Lo studio della roccia nel suo insieme e delle incisioni presenti sulla stessa si è rilevato particolarmente arduo. In primo luogo a causa della morfologia della roccia, del cattivo stato di conservazione della sua superficie e della grande quantità di fessurazioni e stacchi termoclastici provocati dalla penetrazione delle radici arboree; in secondo luogo a causa della cattiva conservazione delle stesse incisioni che, in più casi, sono di difficilissima lettura. Le picchiettature sono infatti quasi ovunque assenti, sia nelle porzioni di roccia che sono sempre rimaste alle intemperie, sia là dove leggeri strati di humus le hanno invece mantenute riparate. 

Come sono state eseguite le incisioni

 La quasi totale assenza di picchiettature distinte rilevabili è comunque in buona parte giustificabile, se si tiene conto che le incisioni sono state eseguite con strumenti litici e per percussione diretta su roccia micascistica con stratificazione quasi verticale. In effetti, una percussione tesa soprattutto a raggiungere una certa profondità provoca non solo stacchi di scheggioline di roccia, ma anche compressione e conseguentemente polverizzazione della superficie, quindi abrasione delle stesse "creste di picchiettatura", tale da costituire un piano uniforme. Quasi tutte le incisioni sono state eseguite nello stesso modo. La presenza di numerosi granati e di strati quarzosi ha condizionato non poco l'esecuzione delle incisioni. 

Gli artisti che a più riprese, in antico, si sono recati sulla roccia, sembra l'abbiano trovata già ampiamente fessurata, forse più o meno nelle stesse condizioni in cui appare oggi dopo la ripulitura da muschi, licheni ed erica. Le fessure profonde che la dividono in comparti con andamento longitudinale, in tre grandi porzioni, erano sicuramente presenti anche allora e, come al momento di inizio della campagna di studio, dovevano essere riempite di sassi e di terra nella quale crescevano arbusti, cespugli, forse come ora, ginepri e betulle con sottobosco di erica e di erba. Ciò sarebbe confermato anche dalla disposizione dei gruppi di incisioni, che trovano delle delimitazioni naturali proprio nelle spaccature della roccia. Tranne in rarissimi casi, non esistono su questa roccia mutilazioni di incisioni o di insiemi, provocate da stacchi posteriori alla loro esecuzione. 

Le caratteristiche della roccia incisa

Una visione complessiva della roccia permette di osservare sulla stessa tre aree di concentrazione di incisioni ed altre figure sparse, apparentemente avulse dalle prime, anche se iconograficamente riconducibili a quelle. 

L'area più densamente incisa è quella in basso a sinistra rispetto a chi guarda, divisa in due quasi trasversalmente da un profondo stacco a V, ampio alcune decine di centimetri.
All'estrema destra della roccia, per tutta la sua altezza, sono presenti altre numerose incisioni che costituiscono la seconda concentrazione con una densità inferiore di figure ed una distribuzione abbastanza uniforme delle stesse.
La terza concentrazione è ubicata alla sommità della roccia, sull'unica superficie pressoché pianeggiante, in uno spazio limitato rispetto ai precedenti, oggi in parte logorato anche dal calpestio. Sulla restante roccia, soprattutto nella sua porzione centrale, sono presenti sparse altre incisioni, alcune delle quali non più leggibili in quanto rovinate dalla prolungata esposizione alle intemperie, a causa della morfologia della roccia e probabilmente dal calpestio. 

Il complesso inciso del "Coren de le Fate", a differenza di molti altri complessi camuni, di molte rocce soprattutto dell'area centrale della valle, ospita un numero di categorie di rappresentazioni assai limitato; infatti, se ad esempio sulla roccia n° 50 di Naquane sono presenti circa una cinquantina di categorie, qui se ne contano solo 17, tra le quali dominanti solo 3

Prima dell'età del bronzo

Lo studio analitico delle incisioni ha permesso di individuare una serie limitata di fasi di intervento, in un arco di tempo molto lungo, probabilmente compreso tra il terzo ed il primo millennio a.C. La prima fase sembra costituita da una vasta serie di figure ascritte alla prima e alla terza categoria di rappresentazioni della tavola categoriale e tipologica delle incisioni dell'arco alpino. Della prima categoria si conoscono infatti ben 28 figure spiraliformi e a cerchi concentrici. Le loro dimensioni varia da pochi centimetri a oltre 40 di diametro, distribuite tutte, ad eccezione di tre poste nella porzione alta all'estrema sinistra della roccia.
Due figure della categoria, una grande costituita da ben 8 cerchi concentrici ed una spiraliforme, poste rispettivamente la prima all'estrema sinistra della roccia e l'altra all'estrema destra, sono associate ad una figura antropomorfa rozzamente schematizzata, quasi fosse stato presente l'intento o l'esigenza di delimitare la grande superficie da incidere e ciò, probabilmente, nel momento che ha visto la prima frequentazione del sito rupestre.  Associate alle figure della prima categoria sono presenti anche otto figure della terza, riconducibili ad almeno sei tipi diversi, ma sempre derivanti da un unico concetto: sono cerchi o multipli variamente raggiati internamente

Il gusto estetico di queste rappresentazioni, ma forse anche i contenuti ideologici delle stesse, hanno indotto a soluzioni grafiche piacevoli, ad una ricerca compositiva in rapporto alle forme naturali della roccia. In nessuno dei tipi individuati la raggiera interna parte dal centro per innestarsi sul cerchio esterno, ma sempre tali raggi si dipartono da un cerchio interno concentrico e cadono su quello esterno e su uno di quelli esterni concentrici, quasi a rievocare più una ruota raggiata che non un simbolo probabilmente di derivazione solare e quindi, forse, carico di contenuti di tipo prettamente religioso. Le figure delle due categorie sono distribuite in maniera uniforme su questa grande porzione di roccia, alcune a gruppi di due o di tre, altre apparentemente in ordine sparso. 
La loro distribuzione sembra comunque indurre a credere, essendo questo il primo intervento sulla stessa, che nell'arco di tempo non eccessivamente lungo della prima frequentazione, l'unica grande superficie disponibile, comoda da incidere, libera dalla vegetazione, fosse questa, unitamente ad una piccola porzione dell'estremità alta destra. L'analisi morfologica della roccia permette infatti di constatare come il dilavamento non abbia concesso ai detriti di accumularsi e all'humus di stratificare, sia per l'inclinazione della stessa, sia per l'assenza di profonde asperità continue. 

L'assenza di sovrapposizioni tra le incisioni della prima fase di intervento non permette, all'interno di questa, l'individuazione di sotto fasi, comunque intuibili, anche se non definibili in termini di cronologia relativa. È da escludere infatti che le figure siano state eseguite tutte in un solo momento e da una stessa mano e, infatti, l'analisi delle singole figure permette di osservare diversi interventi degli operatori sulla roccia, ma anche diversi strumenti usati per incidere, diverse forme di percussione, quindi risultati diversi non solo iconografici, ma anche tecnici. Lo stesso apparente disordine nel quale appaiono sembra indurre a credere che i diversi operatori non si siano attenuti, nel disporre le loro figure, ad una corretta ricerca compositiva, ma abbiano badato solo a rispettare le figure realizzate dai loro predecessori o da loro stessi in un tempo precedente. 

Le differenti mani che hanno operato si riconoscono inoltre attraverso l'analisi tecnica delle incisioni che ora sono molto superficiali, in altri casi sono profonde e a sezione ampia, con picchiettature profonde ed uniformi, altre ancora discontinue ed irregolari. Dopo questo primo momento d'intervento, di utilizzo della roccia, sembra vi sia stato un prolungato intervallo di abbandono della stessa, durante il quale le incisioni si sono lentamente e gradualmente ossidate, riassumendo l'uniformità cromatica della superficie non incisa, tanto da rendere quasi invisibili anche le incisioni più profonde.
Va ricordato comunque che l'abbandono della pratica incisoria non presuppone necessariamente un parallelo abbandono dell'utilizzo del sito; non è esclusa infatti una assidua frequentazione dello stesso per motivi rituali in stretta relazione con la presenza delle incisioni.

L'età del bronzo

Successivamente, in un momento non meglio definibile dell'età del Bronzo e forse anche più tardi, quindi a distanza di molti secoli, su questa stessa porzione di roccia, altri operatori hanno inciso una vasta e complessa serie di figure delle categorie n. 17 e 18. Si tratta di figure geometriche semplici e composte, canaletti tra loro associati, in relazione e composti con le prime a costituire, molto probabilmente, figure di tipo planimetrico, mappe di territori e di insediamenti.

Singolarmente, gli operatori per questa realizzazione hanno scelto una porzione di roccia che, inclinata nella parte alta, degrada nella sua parte bassa terminale, ma soprattutto hanno fatto sì che la composizione risultasse inscritta volutamente tra un profondo solco naturale con andamento curvilineo verso sinistra, profonde asperità naturali della roccia alla estrema destra e la barriera naturale di terreno a monte. Come per la realizzazione della mappa n. 1 di Bedolina a Pescarzo di Capodiponte o di altre del versante occidentale della valle sempre nello stesso territorio (Priuli, 1985), sembra che la scelta del sito dove incidere questa composizione sia stata fatta tenendo conto della situazione morfologica della roccia e, in particolare, di quella porzione richiamante forse situazioni morfologiche analoghe in un territorio reale che loro intendevano riprodurre. È per ciò che la composizione può essere definita, come mappe di Bedolina o quelle di Seradina e di Giadeghe, di tipo planimetrico. La stessa tradizione orale locale riferisce come "le figure della roccia del Coren de le Strie sono la mappa dei Federici"; chi riesce a decifrare questa mappa riuscirà a trovare il tesoro che hanno nascosto quando hanno dovuto scappare da Sonico. 

Le incisioni in alcuni punti si sovrappongono chiaramente alle figure circolari, spilariformi ed ai cerchi con raggiera interna della prima fase di intervento; in altri sembrano riutilizzare tali figure e adottarle alla nuova composizione. Come la prima fase di intervento è stata finalizzata alla realizzazione di tipi specifici, così questa ha visto l'esecuzione di tipi figurativi esclusivi di categorie diverse di rappresentazioni, apparentemente privi di alcun nesso logico con le precedenti se non quello del bisogno comune di incidere sulla stessa superficie rocciosa. Alla stessa fase o sotto fase di questa dovrebbero forse appartenere anche alcune figure geometriche presenti anche nel settore destro della stessa roccia, nella quadricora 4.
Numerose coppelle, associate ed in relazione con canaletti, appartengono sicuramente alla stessa fase di incisione, come alcune forse erano in relazione e coeve con le figure della prima fase d'intervento, come sembra approvabile, ad esempio, dalla relazione cerchi concentrici - antropomorfo - coppella, all'estrema sinistra della composizione della quadricora 1, oppure cerchi concentrici, cerchi raggiati internamente con coppella centrale della stessa quadricora. 

Il terzo momento di intervento

Il terzo momento d'intervento ha trovato la roccia in condizioni molto diverse rispetto a quelli precedenti. Forse in un momento contraddistinto da un raffreddamento del clima, ampiamente documentato durante il 1° millennio a.C., la vegetazione si è ridotta e attestata più a monte della roccia, su terreno più consistente e ricco, lasciando le leggere chiazze di humus che ricoprivano porzioni di roccia, all'azione erosiva delle acque e quella eolica, intesa su un promontorio così esposto sulla valle.
In conseguenza di ciò la roccia quasi sicuramente è apparsa in tutta la sua estensione e, quindi, un ritorno di interesse alla stessa da parte di sacerdoti - artisti - incisori e rinnovate esigenze spirituali hanno visto la possibilità di un totale riutilizzo di superfici levigate. Come i procedimenti, anche questo ritorno sembra sia stato finalizzato alla realizzazione di tipi figurativi specifici, esclusivi di questa fase, intendendo ovviamente per fase, ancora una volta, un periodo di frequentazione e di incisione circoscritto in un tempo non facilmente determinabile, apparentemente diversi, con contenuti ideologici oltre che iconografici privi di alcuna relazione con le incisioni precedenti, quasi queste non esistessero o non fossero per nulla visibili o fosse venuto a mancare un collegamento ideologico tra le nuove e le precedenti opere.
Il nuovo, forse prolungato, momento di intervento ha visto infatti la realizzazione di ben 192 figure palettiformi della categoria n. 12, delle quali 118 del tipo A, semplici, con pomo arrotondato o cuppelliforme, 37 con impugnatura rettilinea senza pomo all'estremità e le altre di forme diverse, per un totale complessivo di ben 14 tipi. Alcune palette sono associate a figure antropomorfe delle categorie n. 26, 36 e 37, due delle quali (categoria 37) reggono delle piccole figure palettiformi, mentre un'altra sembra volutamente sovrapposta da una paletta ad impugnatura rivolta verso l'alto. Questo terzo momento d'intervento, certo non breve e collocabile in un non meglio precisabile spazio temporale del 1° millennio a.C., ha visto sicuramente l'opera di diversi artisti che, a più riprese, si sono recati sulla roccia ed hanno inciso in termini univoci tanto dal punto di vista tecnico tanto da quello iconografico. 1992 figure palettiformi e 16 antropomorfe, per un totale di 4 categorie di rappresentazioni, alle quali si aggiunge quella delle coppelle sparse, costituiscono il monotono repertorio di una roccia sulla quale le figure incise precedentemente erano ormai di difficile lettura, molte addirittura quasi invisibili. La presenza di figure palettiformi tra loro in sovrapposizione è testimone di fasi distinte di intervento, forse anche distanti alcuni decenni tra loro. La differenza tipologica tra alcune figure e quelle che ad esse si sovrappongono, la rozzezza delle seconde rispetto alle prime, sembrano essere testimoni della diversità dell'operatore, ma anche del supporto tecnico e forse della decadenza ideologica e contenutistica che le ha ispirate a volute. 

Per sommi capi si può osservare come, pur essendo quasi tutta la roccia caratterizzata dalla presenza di palette, tuttavia è percepibile la volontà degli operatori di realizzare anche in gruppi distinti, soprattutto nel settore destro ed in quelli alti della roccia. Se all'apparenza ognuno di questi tre grandi momenti di interesse per la roccia è indipendente dagli altri, se sembra non vi sia continuità operativa e creativa, che non vi siano relazioni iconografiche, tuttavia, là dove alcune figure delle fasi precedenti erano visibili, sono state realizzate associazioni. Infatti, alcuni cerchi concentrici e raggiati sono stati riutilizzati nella realizzazione delle figure di tipo planimetrico, canaletti sono confluiti al loro centro. Più tardi figure palettiformi sono state volutamente sovrapposte a cerchi concentrici o associate a questi o, comunque, a tipi delle categorie 1 e 3 e, al contempo, sono state inserite figure di tipo planimetrico, sovrapposte o associate a figure geometriche semplici e composte, a meandriformi. Abbastanza limitato, come si è accennato è il numero delle figure antropomorfe (16 su 451 incisioni registrate). Di queste, due o forse tre schematiche sono associate a tipi della categoria 1; le altre a figure palettiformi e forse, con queste, a meandriformi. Alcune figure antropomorfe sembrano armate, ma la sommarietà delle forme non permette una definizione più appropriata delle stesse ed una loro distinzione tipologica. Due antropomorfi, come si è detto, reggono figure palettiformi, riprendendo un tema già conosciuto all'interno del Parco di Naquane a Capodiponte e a Paspardo. Una figura fallica è rappresentata a testa in giù.

In sintesi si può dire che: 

  • durante la prima fase di frequentazione la roccia, e forse tutto il costone circostante la montagna, è stata legata al culto del sole e ciò, grazie ai numerosi confronti con altre manifestazioni di cultura figurativa dell'arco alpino e di altre regioni italiane, sembra sia avvenuto alla fine del 4° e inizio del 3° millennio a.C., cioè tra il Neolitico recente e l'Eneolitico
  • dopo un lungo periodo di abbandono dell'attività incisoria, la roccia è stata riutilizzata per incidervi figure di tipo planimetrico, quindi probabilmente un intero territorio nel quale sembra riprodotto persino un insediamento ad uso abitativo oltre a probabili aree coltivate, corsi d'acqua, strade, sentieri,ecc.; 
  • durante il 1° millennio a.C., dopo un'altra interruzione forse di alcuni secoli, sono state incise le figure palettiformi, come elemento iconografico dominante, legato forse al culto dei morti. Il tutto (culto del sole, culto della terra, culto dei morti, per esprimere in termini sintetici propositivi alcune ipotesi interpretative) sembra indurre a pensare alla sacralità del luogo connessa forse a speciali riti di rigenerazione. In proposito va rimarcata la possibile relazione esistente tra la roccia del Coren de le Fate e l'acqua che sgorga nelle immediate vicinanze e addirittura sotto la stessa. 
In tre momenti temporalmente, culturalmente ed ideologicamente differenti, forse uno stesso concetto è stato espresso in modi diversi, attraverso tipi figurativi apparentemente privi di un nesso logico accomunante, in realtà riconducibili, a livello contenutistico, ad un unico denominatore comune: quello della vita. 

Le coppelle

L'unica costante offerta da questa roccia sembra essere quella delle coppelle. Esse entrano a far parte delle rappresentazioni o sono sparse sulla roccia in apparente disordine, con canaletti o unite da essi, o in disposizione geometrica, per un totale registrato di 153 incisioni, ma soprattutto appaiono e permangono dalla fase più antica di frequentazione della roccia a quella più recente e continuano ad essere realizzate anche quando sulla roccia non verranno più incise figure e simboli come quelli considerati. Alcune sono di grandi dimensioni, profonde, lisce all'interno, e sono quelle che la gente del posto ha sempre visto ed ha associato alla presenza di streghe, pagani ed alla celebrazione dei sabba. Coppelle si sovrappongono infatti a cerchi, sirali, meandri e anche a palette, quindi sono state realizzate sicuramente anche dopo l'ultima fase figurativa. Numerose altre coppelle, durante la fase esplorativa preliminare, sono state già individuate in diversi siti del territorio comunale i Sonico soprattutto sul versante orientale della valle, ma anche su quello occidentale, nei pressi della chiesa si S. Andrea, ed in tutta l'area circostante la roccia del Coren de le Fate e trovano una loro continuità territoriale anche più a Sud, verso Garda e Berzo Demo, e a Nord, nel territorio adiacente di Edolo - Mu. 

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Ultimo aggiornamento
14 luglio 2021